Gli standard del federalismo

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by Leo Klinkers |

La fondazione di uno stato

 La felicità del popolo è in buona parte determinata dal modo in cui viene architettato lo stato. Uno stato ben costruito non è molto diverso da una sedia ben fatta o da un pranzo ben preparato. Se sedere su di una sedia mal costruita questa vi causerà il mal di schiena, analogamente un pasto preparato male vi potrebbe causare il vomito. Costruire una sedia o preparare un pranzo è una questione di artigianato, di professionalità, basata sull’applicazione di determinati modelli.

Postulando come assunto che uno stato democratico sia, quanto meno, la peggior forma di governo, escluse tutte le altre (le famose parole di Churchill), esistono comunque diverse forme costituzionali ed istituzionali di cui tener conto. La Francia, ad esempio, è una repubblica nella forma di uno stato unitario centralizzato, la Germania è invece una repubblica nella forma di una federazione.

In questo articolo parlerò soltanto della creazione di uno stato federale, fondato sulle idee della filosofia politica elaborate a partire da Aristotele in poi, combinate con alcuni esempi di federalismo applicato.

 

Sovranità popolare come principio filosofico

Una federazione è fondata da un presupposto filosofico e da uno pratico. Il presupposto filosofico è la sovranità popolare. In sintesi ‘tutta la sovranità appartiene al popolo’. Questa frase domina la Dichiarazione di Indipendenza delle tredici colonie americane del 1776, così come la costituzione federale del 1787. In altre parole, per la prima volta sulla faccia della Terra, un importante nocciolo di considerazioni politico-filosofiche sono state incluse nel processo di formazione legislativa (la costituzione) e nella creazione di una organizzazione ad essa collegata (le istituzioni). Chi non accetta che la sovranità appartenga al popolo, accetta che tutti i poteri restino nelle mani di un autocrate. Di conseguenza il popolo risulta sempre perdente.

 

Rappresentanza del popolo come principio pratico

 Certo i cittadini non possono ritrovarsi ogni giorno nella piazza per decidere su ogni possibile questione politica. Devono quindi essere rappresentati. Questo implica elezioni con la necessaria garanzia che esse siano libere, con voto segreto e la certezza che anche le minoranze siano rappresentate.

Quest’ultimo punto – la rappresentanza delle minoranze – significa che i sistemi elettorali di tipo maggioritario, ovvero quelli nei quali ‘il vincente prende tutto’ (e non c’è suddivisione proporzionale dei seggi, ndr) dovrebbero essere sempre aboliti, come ci hanno evidenziato la miseria dei sistemi elettorali bipolari inglese e americano.

 

Lo stato federale dal basso

 La sovranità del popolo si sviluppa su diversi scalini, dal basso verso l’alto. Il primo scalino che si incontra è quello della famiglia. La famiglia può prendere le sue  decisioni autonome. La famiglia, tuttavia, ha pure interessi e/o preoccupazioni delle quali non può prendersi cura da sola. Perciò la famiglia chiede a un livello più alto – ad esempio alla comunità di quartiere – di condividere la sua sovranità e di farsi carico dei propri interessi e problemi. Allo stesso modo, uno stato federale è costruito, scalino dopo scalino, dal basso verso l’alto.

 Un semplice esempio: se, in Olanda, in occasione della Coppa del Mondo di calcio, un certo numero di persone decide di mettere in mostra il colore arancione (che è il colore della famiglia reale) ma nessuna delle famiglie del quartiere è da sola in grado di organizzarsi per colorare di arancione tutta una strada, attraverso una colletta, che coinvolga tutte le famiglie, sarà possibile creare un magnifico scenario arancione, a beneficio di tutti.

In pratica, questa è una organizzazione federalista. Ma certamente l’organo decisionale che si prende cura di colorare di arancione un quartiere non ha allo stesso tempo l’autorità di decidere se, in occasione della festa per la vittoria, si potranno servire unicamente hamburger, a meno ché i residenti del quartiere non abbiano conferito anche questa autorità all’organo federale. I poteri di un organo federale sono sempre limitati e definiti con precisione. Il fatto che, nella pratica, si tenti sempre di spingere i limiti di questi poteri un po’ più in là, non è una caratteristica intrinseca della struttura federale ma si tratta di circostanze connesse con le caratteristiche delle persone che, all’interno di una federazione, cercano di assicurarsi sempre più potere. Questa ricerca di sempre più potere è insomma una caratteristica intrinseca del sistema politico, non dell’organizzazione federale in sé.

 

I più importanti valori di uno stato federale: libertà e felicità

 Il più importante valore che uno stato federale deve garantire è, niente di più e niente di meno, il supporto ai cittadini nella libera ricerca della propria felicità. Per rendere chiaro questo concetto, ho recentemente scritto un preambolo per una costituzione dell’Europa federale (vedi qui https://www.faef.eu/the-europe-of-the-citizens/ ).

Un preambolo di una costituzione descrive i valori che devono essere preservati e salvaguardati all’interno della federazione. Dopodiché, gli articoli della costituzione determineranno come preservare i valori e monitorarne la salvaguardia.

I concetti di ‘libertà’ e ‘felicità’ giocano un ruolo centrale nella Dichiarazione d’Indipendenza‘ del 1776 e nella successiva costituzione federale americana del 1787. L’idea di felicità e di libertà divenne la base per quelle regole scritte nella costituzione che costituiscono il sistema di ‘pesi e contrappesi’ dei poteri. Così come gli inglesi limitarono il potere autocratico del re Giovanni Senza Terra nella loro Magna Carta del 1215, e gli olandesi si sottrassero ai loro dominatori spagnoli nel 1581 con il loro ‘Atto di abiura’, gli americani, nel 1776, enunciarono che non avrebbero più obbedito alla corona inglese. Ma dire che si vuole essere liberi è una cosa, assicurarsi che ciò sia legalmente fondato, un’altra. Ecco perché venne ideata una costituzione federale.

Gli americani avevano appreso da filosofi come Aristotele e Rousseau che cosa significa sovranità del popolo. Sapevano grazie ad Althusius quali fossero i capisaldi del pensiero federalista, e conoscevano grazie a Montesquieu il principio del ‘trias politica’ (in italiano di solito nominata come ‘separazione dei poteri’, ndr) e per la prima volta nella storia del genere umano produssero una costruzione politica nella quale elementi diversi del pensiero politico-filosofico si combinavano insieme.

 

La ‘trias politica’ e il sistema ‘pesi e contrappesi’

 Ma la ‘trias politica’ rischiava di rimanere nient’altro che la combinazione di due parole, quando invece il significato insito in questa formula deve essere inteso come separazione tra i tre rami del potere di uno stato – legislativo, esecutivo e giudiziario – ad impedire che l’uno prenda il sopravvento sull’altro, prevenendo il rischio di un ritorno all’autocrazia.

Si era già considerato che l’intervento di un potere nel territorio di un altro era, di tanto in tanto, inevitabile. Ecco allora che il ‘trucco’ introdotto fu quello di costituire dei cosiddetti ‘poteri contrapposti’. In questo modo, qualora un ramo inizi ad operare nel territorio di un altro ramo, a quest’ultimo è garantito il potere di respingere il primo di nuovo nel proprio campo di provenienza.

All’interno di una brillante costituzione fu quindi creato un eccellente sistema di ‘pesi e contrappesi’. Una delle chiavi del successo della costituzione americana fu certamente quello di essere formata dal minor numero possibile di articoli, senza quindi nemmeno un pizzico di regole che risultassero espressione degli interessi specifici dei singoli stati. Solo l’interesse comune dei tredici stati doveva essere regolato dalla costituzione, che finì per essere di soli sette articoli, il cui nocciolo è dato da a) compensazione di poteri dei tredici stati rispetto all’organo federale, b) divisione di poteri tra i tre rami legislativo/esecutivo/giudiziario all’interno di ciascun stato (da notare che in una federazione ciascun stato rimane indipendente e ogni stato mantiene il proprio ramo legislativo, esecutivo e giudiziario), e c)  bilanciamento di poteri tra i tre poteri a livello federale.

Se si prende come esempio la bozza di costituzione che io ed Herbert Tombeur abbiamo adottato, ispirata alla costituzione americana (vedi i nostri ‘European Federalist Papers del 2012-2013), il ramo legislativo consiste nella Camera dei Cittadini ed il Senato. Entrambe le camere possono emanare leggi. Se la Camera produce una legge, questa deve essere trasmessa al Senato. Se questo la rigetta, il processo deve ricominciare. Se entrambe le camere sono concordi, la legge andrà al Presidente che avrà dieci giorni per dare il suo assenso oppure per motivare in maniera fondata il proprio veto. In caso di veto, la legge ritornerà alla Camera che potrà rinunciare oppure riproporre la stessa legge con una maggioranza di due terzi, con eventuali aggiustamenti basati sulle motivazioni del Presidente. Poi di nuovo al Senato con la stessa procedura. Se entrambe le camere approveranno, anche il Presidente dovrà dare il proprio assenso.

Questa architettura è perfettamente trasparente. Il fatto che una struttura di questo tipo possa valorizzare lo stato e dare supporto ai cittadini nella sviluppo della propria felicità, non dipende dalla struttura in sé ma, ancora una volta, dalla qualità delle persone e dei politici che operano in quella struttura.

Al momento, vediamo che il presidente degli USA sta cercando, anche attraverso un obsoleto sistema elettorale, di acquisire un potere autocratico, di esercitare un monopolio del potere, ma è precisamente questo ingegnoso sistema di pesi e contrappesi che, ogni volta, lo ricaccia al proprio posto.

Solamente se riuscirà a creare, con delle provocazioni, un conflitto internazionale, solo in questo modo – attraverso un conflitto armato – egli diventerà il regista in base ad alcune leggi di emergenza che la costituzione gli garantisce. E in quel caso saranno cazzi amari, in quanto il Presidente (Commander in chief, comandante in capo, ndr) non dovrà più rispondere a nessuno per le decisioni prese.

Ecco perché una de-escalation è necessaria, anche se, pur disinnescando il conflitto con l’Iran creato artatamente dallo stesso Trump, il Presidente potrà sempre innescare un nuovo conflitto, ben sapendo che è questo l’unico modo per mettere mano sulle leggi dello stato di emergenza, e ottenere un potere di fatto autocratico. Certo, potrebbe sempre tentare di iniziare una nuova guerra civile in America ma credo difficilmente avere successo.

 

La legalità come nocciolo di uno stato democratico

 L’obbligo degli amministratori di rispondere agli organi rappresentativi è il cuore della costituzione democratica dello stato. Si tratta del principio di legalità che garantisce che nessuno sia mai al di sopra della legge. Questo è il più importante principio da rispettare e va considerato come indivisibile rispetto al principio del federalismo, ed in completa discontinuità rispetto al sistema intergovernativo dell’attuale Unione Europea.

 Nell’attuale sistema intergovernativo, infatti, degli amministratori – nominati non in base ad una costituzione ma a dei trattati negoziati tra gli stati – assumono tutte le principali decisioni vincolanti per i cittadini, senza doverle giustificare di fronte ad un parlamento transnazionale eletto.

Rousseau ha già dimostrato chiaramente che, all’interno di un sistema democratico, esiste sempre la tendenza a ritornare a un sistema di ‘aristocrazia elettiva’, che poi si tramuta in oligarchia, quando tutte le più importanti funzioni vengono suddivise all’interno di una piccola cerchia ristretta.

Si tratta di tendenze presenti in una forma o nell’altra all’interno di qualsiasi democrazia, anche in Olanda, dove circa il 2,5% dell’elettorato (circa 300.000 persone) si divide tutte le principali cariche nella politica, negli uffici pubblici e amministrativi, nei comitati permanenti ed in quelli ad hoc, nel mondo scientifico e nell’industria.

Governare sulla base di accordi di coalizione produce un processo di deterioramento dell’autorità del parlamento il quale invece deve necessariamente fungere, come recita l’adagio ‘la sovranità appartiene al popolo’, da ultima istanza rispetto ai poteri dell’esecutivo. Mentre nella realtà odierna i parlamenti non fanno altro che confermare le misure preconfezionate dalle coalizioni al governo, rimuovendo un ministro solo nel caso in cui questi operi in maniera eccessivamente negativa. In Olanda, questa modalità, tramite la quale è il potere esecutivo a determinare quello che l’organo legislativo, ovvero la Camera dei Rappresentanti, decide, si è ora esteso anche al Senato. Il Senato non è più quindi un organo il quale, indipendentemente dall’attuale delusione rispetto alla politica, valuta se una legge sia una buona o una cattiva legge, ma si limita a seguire – sebbene spesso formalmente protestando – ciò che la colazione di governo decide.

Questo è decisamente rilevante in un sistema intergovernativo, quale è quello della Unione Europea. Si guardi ancora una volta a quello che un pugno di leader nazionali all’interno del Consiglio dell’Unione Europea ha recentemente fatto estromettendo gli ‘Spitzenkadidaten’ (candidati guida dei maggiori gruppi parlamentari europei, Weber, Timmermans, Vestager, etc, ndr), preferendo alla fine delle personalità che non mettessero a rischio il potere non limitato del Consiglio.

Alla lunga, in seguito all’emergere di un esercizio del potere che non risponde mai a nessuno e che viene esercitato unicamente dall’alto verso il basso, qualsiasi sistema intergovernativo si incrina e infine si sgretola. Gli stati membri non rispettano più gli accordi e i trattati, le decisioni non sono più prese sulle basi di una visione generale di Europa e nell’interesse generale di tutti, ma solo nell’interesse egoistico degli stati membri. Quando ciò accade, non ci resta che attendere che qualcuno o qualcosa accenda la miccia nella polveriera.

 

La Convention di Filadelfia

 Tra il 1776 e il 1787, i 55 delegati della Convention di Filadelfia compresero questa situazione. I tredici stati della confederazione stavano entrando in conflitto tra di loro. Cosa si fece allora? Anziché perseguire il compito che gli era stato  assegnato e cercare di rappezzare gli errori del trattato della Confederazione, i delegati decisero di abbandonare completamente il trattato e, nel giro di due settimane, completarono la creazione di una costituzione federale. In pochi mesi la costituzione venne presentata ai cittadini dei tredici stati. Se I cittadini di almeno nove stati avessero approvato la costituzione, la federazione sarebbe legalmente entrata in vigore, cosa che infatti avvenne nel 1789.

Per molti decenni, i federalisti, nei loro sforzi profusi per creare una Europa federale, hanno replicato un classico errore, un errore di testardaggine che impedisce il perseguimento dell’obiettivo finale: la federazione europea. Questo errore è l’inutile e ripetuto tentativo di adattare il sistema intergovernativo dell’attuale Unione Europea al fine di renderlo automaticamente una federazione. Bene, potreste essere o meno d’accordo sul fatto che una mela sia più appetitosa di una pera, ma nessuno può mettere in dubbio il fatto che sia impossibile tramutare una torta di mele in una torta di pere!

Esiste un solo ed unico modo per creare una federazione europea, ed è quello di replicare la stessa procedura che i padri fondatori americani hanno applicato nella Convention di Filadelfia nel 1787: gettare il trattato nel cestino della spazzatura, non prendendolo più in considerazione e, ripartendo dalla visione che è già insita nella filosofia europea, creare una costituzione federale secondo gli standard del federalismo, agendo per i cittadini e dai cittadini. Potrei anche dirla in un’altra maniera: pur essendo questi standard già noti, oltre duecento anni dopo la prima federazione del 1787 e oltre settanta anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, ancora non abbiamo una federazione Europea; questo significa che per tutto questo tempo si è operato nella maniera sbagliata.

E’ quindi tempo di smetterla con le opinioni e di iniziare a studiare come vanno fatte le cose, in analogia con ciò che già nel 1787 hanno fatto I padri fondatori americani.

La stessa procedura andrebbe applicata alle Nazioni Unite. Smetterla di cercare inutilmente di emendarne lo Statuto (l’accordo istitutivo dell’ONU del 1945, ndr) e fare sì che le Nazioni Unite possano finalmente diventare un organo federale che si prenda cura di una serie di interessi collettivi ai quali gli stati membri non possono fare fronte da soli. Tutte le energie che vengono convogliate verso una costruzione fallace non faranno che produrre più dolore e più orrore, come nel caso dei 60 milioni di rifugiati nei campi profughi o i naufragi nel Mediterraneo. Il recente appello da parte dell’ONU all’Unione Europea per il salvataggio dei naufraghi non fa altro che rimarcare l’insensatezza di quel sistema intergovernativo che è alla base di entrambi i sistemi, quello delle Nazioni Unite e quello dell’Unione Europea, entrambi alla fine del loro ciclo vitale e perciò destinati al cestinamento. Tentare di riparare gli ‘errori di sistema’ presenti in un trattato che non funziona non fa altro che generare ulteriori problemi, ed in scala incrementale: 2-4-8-16 e così fino alla fine.

 

Il concetto di ‘federalismo’ e i suoi principali standard

 I federalisti hanno una tendenza inesausta di parlare, in dibattiti infiniti, di problemi di politiche specifiche, quando invece non esiste una politica federale dell’agricoltura, né una politica federale sull’emigrazione, o una politica federale sull’educazione, etc. etc. Non c’è alcun bisogno di essere federalisti per avere una visione particolare su una questione sociale o politica. In altre parole, il federalismo non è qualcosa che si applica alle singole sfere politiche, essendo invece la modalità in cui la cooperazione tra entità indipendenti è regolata secondo termini legali e organizzativi. Se riferito agli stati, il federalismo è l’organizzazione dello stato federale. Se riportato al settore della cooperazione privata, come ad esempio le relazioni tra le singole squadre di calcio, già organizzate nelle rispettive leghe nazionali, nella lega europea – la UEFA – e nella lega mondiale – la FIFA – allora ci riferiamo ad una organizzazione federale privata. Ve ne sono di ogni dimensione.

Eppure, dopo più di duecento anni di lagne, ancora non abbiamo una federazione europea. Perché? Perché manca la cultura specifica: i federalisti europei sono carenti nella conoscenza dei principi base del federalismo da applicare al momento della creazione di una federazione europea.

 Per raggiungere una sufficiente conoscenza è necessario, in ordine: a) acquisire la conoscenza di base sul federalismo (quindi educare i federalisti), b) creare un livello organizzativo superiore, organizzando i singoli movimenti federalisti (quindi ‘federando i federalisti’) e c) costruire una Europa federale applicando gli standard del federalismo. Senza perdere energie in cose che nulla hanno a che fare con il federalismo.

Non solo, come già argomentato, non esiste una politica federalista ma, contrariamente a quello che molti federalisti sostengono, non esistono nemmeno diversi sistemi federali. Alcuni parlano di ‘dual federalism’, di ‘federalismo cooperativo’, di ‘federalismo competitivo’, di ‘federalismo fiscale’, di ‘nuovo federalismo’ o altre invenzioni che non hanno senso.

Esiste un solo concetto di ‘federazione’, basato su alcuni standard. Con un’adesione completa a questi standard (100%) siamo in presenza di una federazione forte. Se non si vuole o non si può aderire al 100% a questi standard – come nel caso della federazione belga – ci troviamo invece di fronte a una federazione più debole.

Più ci si allontana dagli standard, più elevato è il rischio che la federazione collassi, come è infatti successo in alcuni casi in Africa, in Asia ed in Europa. Ciononostante, oggi, il 40% della popolazione mondiale vive entro 27 federazioni – alcune forti, altre deboli.

E’ il modo di discutere sul federalismo, deviando quindi dall’analisi di questi standard, che ha portato alcuni federalisti alla falsa credenza che il sistema intergovernativo dell’attuale Unione Europea sia di tipo federale.

I principali standard da considerare sono:

  • i cittadini di un certo numero di stati indipendenti decidono di formare una federazione.
  • Lo fanno in quanto ci sono una serie di interessi e di problematiche che I singoli stati non sono (più) in grado di perseguire in maniera solitaria.
  • I cittadini degli stati ratificano la costituzione federale che definisce i poteri limitati dell’organo federale e il sistema di pesi e contrappesi – dai cittadini, per i cittadini, attraverso I cittadini.
  • Gli stati membri rimangono sovrani, indipendenti, con la loro identità culturale e quindi i loro parlamenti, i loro governi, il loro sistema giudiziario, la loro monarchia (se sono monarchie), il loro sistema di tassazione, le proprie politiche specifiche.
  • Essi permettono ad un organo federale di condividere la propria sovranità attraverso un sistema di separazione verticale dei poteri. In altre parole, l’organo federale può, su incarico degli stati membri, gestire quel limitato numero di aree rispetto le quali gli stati membri ritengono di non poter più far fronte individualmente.
  • Sia gli stati membri che l’organo federale hanno i loro parlamenti. L’esecutivo dell’organo federale è tenuto a rispondere al relativo parlamento.
  • A differenza degli USA, i membri del parlamento federale devono essere eletti attraverso liste transnazionali, sulla base di un sistema proporzionale.
  • Le politiche dello stato federale dipenderanno dai membri del parlamento. La composizione politica del parlamento determinerà se l’Europa sarà una fortezza o se avrà confini aperti, se dovrà essere inviato in un’area di conflitto un esercito congiunto oppure no, se le sanzioni nei confronti di un particolare stato dovranno essere confermate o abolite, se elargire o meno contributi per l’agricoltura, etc. etc.
  • Si può parlare della ‘politica di una federazione’ ma non di ‘politica federalista’. Se si applicano gli standard non c’è spazio di manovra rispetto al concetto di federalismo.

Due esempi. In una federazione si può stabilire che gli affari esteri, nella loro totalità, vengano gestiti a livello dell’organo federale. In altre federazioni, come per esempio il Belgio, gli affari esteri sono stati identificati come un interesse comune promosso dalla federazione, ma le Fiandre e la Vallonia sono libere di perseguire le loro proprie politiche estere per tutte quelle questioni che non ricadono sotto l’autorità federale. Un altro esempio, negli USA gli stati membri della federazione raccolgono tributi in favore dello stato federale. Lo stato federale, in caso di investimenti particolari o di calamità, versa denaro agli stati membri. Nella pratica, può accadere che uno stato membro paghi più tasse alla federazione di quanto non riceva in beneficio da questa in un determinato anno, e il contrario l’anno successivo. Negli USA, gli stessi stati membri mantengono i loro specifici sistemi di tassazione e gli è permesso di farlo in un regime di competizione. Il Texas, ad esempio, cerca di attrarre aziende e persone dalla vicina California, che prevede tasse più elevate.

Questi esempi riguardano lo spazio di manovra che esiste all’interno degli standard che abbiamo elencato per la costruzione di una vera federazione.

In breve, battersi per una Europa federale altro non è che la costruzione su basi professionali di una casa comune sostenibile e sicura. Che mobilio ciascuno degli inquilini preferisca avere nel suo appartamento, non è un affare della federazione, ma delle preferenze di chi abita quello specifico appartamento.

 

Il nostro lavoro e il nostro compito

 E questo – la costruzione della casa comune federale – è ciò che deve ancora essere fatto in Europa, finendola di sprecare energie in un insensato tentativo di trasformare il Trattato intergovernativo di Lisbona in una federazione. Questo non farebbe altro che esacerbare i conflitti interni, la debolezza esterna sullo scenario geopolitico e creare una cooperazione viziata dall’antagonismo sulle specifiche politiche, ancora più di quanto non sia già in oggi.

E’ inoltre un compito dei federalisti mondiali smettere di cercare di emendare lo Statuto delle Nazioni Unite e, soprattutto, smetterla di disperdere le proprie energie concentrandosi sulle singole politiche, anche nel caso siano essenziali per la sopravvivenza del nostro pianeta. Queste inderogabili questioni, infatti, possono essere gestite solo attraverso una struttura statale che agisca sulle basi degli interessi comuni di tutti gli stati membri.

Quando i singoli paesi, non essendo in grado di controllare da soli alcuni interessi e problematiche comuni, vogliono e hanno bisogno di cooperare ma, allo stesso tempo, esigono rimanere sovrani, la costruzione di uno stato federale è l’unica via che può garantire il risultato. Il sistema intergovernativo non può farlo. Fare dell’Europa una federazione, costruire una casa comune federale nella quale questi interessi e problemi siano in buone mani, è il compito che dobbiamo fare nostro.

Questo obiettivo può essere portato avanti con successo solo se si segue questo adagio: ‘se rifarai allo stesso modo oggi quello che hai fatto ieri, otterrai gli stessi risultati di oggi anche domani. Se vuoi dei risultati diversi, devi iniziare cambiando oggi. In questo modo potrai avere risultati diversi domani. Il cambiamento parte da noi stessi. Se non cambiamo noi, perché gli altri dovrebbero farlo?’

Spero che questo breve articolo possa fare un po’ di chiarezza sugli standard del federalismo. Ulteriori dettagli possono essere trovati nel libro ”Connectivity, Security and Prosperity’, trailer: http://www.faef.eu/trailer/.

Questo libro contiene inoltre la bozza di una costituzione di 10 articoli per un’Europa federale e lo scenario per l’organizzazione di una Convention di cittadini simile alla Convention di Filadelfia che, nel 1787, diede alla luce, grazie ai suoi padri fondatori, alla prima costituzione federale del mondo.

Questo articolo è stato pubblicato anche sul magazine del World Federalist Movement Olanda, ‘Eén Wereld’, nel numero dell’autunno 2019.

 

Leo Klinkers – Editor

 

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