by Francesco Paolo Sgarlata |
La guerra tra Russia e Ucraina sta facendo emergere una volta di più la marginale rilevanza dei singoli stati europei di fronte ai fenomeni epocali che stiamo vivendo.
Basta dare un’occhiata a una cartina geografica mondiale per rendersi conto di quanto può contare uno stato europeo, da solo, di fronte a colossi come la Cina, gli Usa, la Russia, il Brasile, l’India.
Se già il secolo scorso aveva segnato il declino del primato europeo rispetto agli Stati Uniti, oggi gli equilibri mondiali stanno rapidamente cambiando verso scenari inimmaginabili solo vent’anni fa.
Nazioni con centinaia di milioni o addirittura miliardi di abitanti stanno conquistando la supremazia non solo in campo economico, tecnologico e industriale, ma anche politico e militare: e già questo potrebbe rappresentare di per sé un serio problema di evidente perdita di rilevanza per ciascun singolo stato europeo.
Ma quel che è peggio è che questi colossi in certi casi sono governati da personaggi che detengono da anni un potere decisionale immenso nelle loro mani, tanto da avere addirittura in certi casi modificato le rispettive costituzioni per conservarlo in via indefinita.
Ciò è avvenuto senza nessun colpo di Stato ma iniziando da elezioni più o meno regolari, per poi ampliare a dismisura il proprio potere a tempo indeterminato: vogliamo chiamarla dittatura?
In qualsiasi stato democratico, invece, vige il cosiddetto “bilanciamento dei poteri”: ogni organo direttivo singolo o collegiale, oltre ad essere periodicamente sottoposto al vaglio elettorale, vede controbilanciato il proprio potere da un altro organo che ne impedisce la supremazia.
Si tratta di un fondamentale principio che sta alla base di qualsiasi costituzione democratica.
In alcuni di questi colossi politici tale principio è totalmente saltato, e chi li governa può prendere autonomamente decisioni di portata inimmaginabile per milioni di persone se non per l’intero pianeta.
Abbiamo già visto cos’era riuscito a fare un dittatore come Hitler nel secolo scorso a capo di una nazione come la Germania. Cosa potrebbe succedere oggi con le tecnologie e il potere economico che i governanti di alcune di queste superpotenze detengono in questo momento?
Ricordate quando all’inizio del Covid non eravamo neppure in grado di produrre delle semplici mascherine per difenderci dal virus?
Ecco perché oggi è più che mai fondamentale un’Europa unita, federale, che parli con una voce sola, che abbia le proprie produzioni strategiche ubicate sul proprio continente, un sistema comune di approvvigionamento energetico, una politica ambientale e un sistema difensivo comune.
Proviamo solo a immaginare per un momento la straordinaria potenza dissuasoria di una forza armata comune europea rispetto a quella, sempre più esigua, dei singoli Stati.
Comunque la si pensi, si tratta di una necessità storica: gli Stati Uniti hanno fatto capire chiaramente, dapprima con Trump e ora con Biden, che non sono più disposti a fare i gendarmi del mondo e che dobbiamo prepararci a difenderci da soli.
La guerra tra Russia e Ucraina ha posto forzatamente i governanti degli Stati europei di fronte a questa inconfutabile realtà.
L’Unione Europea non è stata creata per una spinta ideale di amore tra popoli ma è nata sulle ceneri della seconda guerra mondiale, e si è poi sviluppata sulla base di precise necessità di tutela comune sia a livello economico che, in subordine, strategico, soprattutto nei confronti di quella che al tempo era ancora l’Unione Sovietica.
Caduto il muro di Berlino e dissolta l’URSS, abbiamo trascorso un lungo periodo di relativa stabilità, nel quale sono cresciuti populismi, egoismi e divisioni interne dovuti per lo più a fenomeni divisivi come l’immigrazione e l’eccessivo rigore verso i conti dei Paesi membri, fino ad arrivare alla Brexit.
In quel periodo di divisioni, l’Unione Europea ha mostrato alcune delle tare che porta dalla nascita e che andranno presto sanate: è chiaramente emerso infatti che far parte dell’Europa non significa solo far quadrare i conti, ma condividere valori, traguardi e problemi comuni, con la consapevolezza che non ci si può voltare dall’altra parte quando uno degli Stati membri ha un problema.
Il Covid e, ora, la guerra alle nostre porte hanno fatto prendere di nuovo coscienza ai nostri governanti della necessità assoluta di affrontare unitariamente sfide che da sole sarebbero impossibili da sostenere.
A prescindere da come andrà a finire la drammatica vicenda dell’Ucraina, altre impegnative prove comuni ci attendono: nuovi equilibri economici mondiali, l’ascesa di superpotenze governate da dittatori, emergenze sanitarie e ambientali, l’immigrazione dai paesi poveri, solo per citare le più scottanti.
Per questo essere uniti non è più un’opzione per noi Europei. E’ una necessità storica.
Francesco Paolo Sgarlata
Editorial Director