Il vento di destra che soffia in Europa

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by Francesco Paolo Sgarlata |

Molti analisti si chiedono il perché di questa ascesa delle destre che attraversa un po’ tutta l’Unione Europea.

Le risposte che spesso essi danno sono le più disparate, ma incredibilmente quasi nessuna coglie quella che è forse la spiegazione più semplice e logica: ciò avviene non per scarsa professionalità, ma perché molto spesso un preconcetto insito in molti di loro impedisce di vedere con obiettività ciò che è davanti agli occhi di molti.

La semplice verità è che le destre hanno probabilmente saputo raccogliere alcune delle istanze più sentite nei vari Paesi quali il bisogno di sicurezza personale e lavorativa, ma anche quello di identità che invece sono stati spesso sottovalutati o addirittura ignorati da parte di alcune élite politiche e culturali, concentrate su temi più ideali.

Le ideologie calate dall’alto invece cedono necessariamente il passo di fronte a bisogni primari: come mostra la famosa piramide dei bisogni di Maslow, subito dopo le necessità basiche come respirare, mangiare e dormire ci sono quelle della sicurezza – fisica, lavorativa, morale, familiare, della salute e della proprietà.

Il gradino immediatamente successivo è quello dei bisogni sociali, cioè il bisogno di appartenenza – a una coppia, a una famiglia, a una cerchia di amici, allo stesso gruppo di professionisti o di appassionati e infine a una società.

Appartenere a un territorio, riconoscersi nei valori, tradizioni e modi di vita che ci sono stati tramandati e che riteniamo caratterizzanti e comuni ai nostri simili – cioè a coloro che sentiamo simili a noi – è identitario e rassicurante: ancora di più, è il concetto fondante di sentirsi parte di un popolo, regionale, nazionale od europeo che sia.

Ed è anche in questo che probabilmente non è stata data una risposta adeguata né a livello statale né a livello europeo.

Su un altro versante, le politiche green, per quanto assolutamente indispensabili per contrastare inquinamento e mutamenti climatici, forse dovevano essere introdotte in maniera meno impattante a livello economico per la popolazione: per esempio il costosissimo adeguamento delle abitazioni alle nuove direttive europee probabilmente andava imposto solo alle case di nuova costruzione e certamente ha favorito le destre nelle scelte degli elettori.

Lo stesso dicasi per la grande questione degli immigrati, forse la madre di tutte le questioni: è giusto accogliere chi dimostra di volersi integrare, ma è sbagliato snaturare i nostri valori, le nostre tradizioni e i nostri costumi nel nome di un’accoglienza ideologica e indiscriminata che in certi casi può arrivare a mettere in discussione il senso di appartenenza e di identità di chi vive qui da sempre.

Che la destra vincesse in Francia era già nell’aria da tempo, anche tenendo conto dei più recenti accadimenti, quali per esempio gli inquietanti fatti di cronaca come l’assalto alla festa di paese di Crèpol dello scorso novembre, che neppure i giornali più allineati al politicamente corretto a tutti i costi sono riusciti a ignorare, pur mettendo spesso la notizia in secondo piano.

Che Macron, un grande leader europeista che abbiamo sostenuto in moltissime occasioni, abbia in questo caso dato una risposta adeguata o meno è tutto da stabilire: quel che è certo però è che episodi come questo generano un senso di insicurezza, paura e diffidenza sconosciuti nella società dei nostri genitori e che oggi è il prezzo di politiche basate sulle ideologie e non più sul buon senso.

Ma allora la domanda è: le elite politiche devono educare o rappresentare?

Si tratta di una distinzione ontologica fondamentale, di una differenza di approccio esistenziale: l’educazione viene dall’alto, la rappresentanza invece dal basso.

Essere eletti significa avere mandato per rappresentare le istanze dei propri elettori, non quello di imporre il cambiamento dei loro valori e modelli di vita, di giungere persino a stabilire cosa è giusto dire e addirittura come dirlo.

L’ascesa delle destre è il sintomo di un diffuso malessere espresso attraverso il voto popolare in diversi Stati: ignorarlo, fingere che non sia successo nulla sarebbe stolto.

Bisogna tener conto di queste istanze perché, non facendolo, questo malessere verrà alimentato ancora di più.

Evidentemente c’è qualcosa in alcune politiche nazionali ed europee che non incontra il favore di una fascia di elettori importante, trasversale e crescente.

Se si vuole che continui e si rafforzi il cammino verso quella maggiore integrazione europea che tutti auspichiamo non si può non tenerne conto, non chiedersi quali tra i passi compiuti siano stati sbagliati, troppo spinti o troppo deboli.

A tutti i livelli decisionali, di alleanze e di accordi politici sarà fondamentale approcciare i grandi problemi che abbiamo davanti con spirito pragmatico e non ideologico, senza preconcetti.

Lo impone la costruzione della nostra casa comune europea, che altrimenti rischia di restare tragicamente incompiuta.

Francesco Paolo Sgarlata
Editorial Director

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