by Francesco Paolo Sgarlata |
Il sistema politico, si sa, tende spesso a “colonizzare” certe aree: l’europeismo non fa eccezione e in Italia è spesso visto come appannaggio delle sinistre.
Ciò probabilmente perché contrapposto ai movimenti o partiti cosiddetti populisti e sovranisti, tradizionalmente riconducibili per lo più alla destra o estrema destra.
Bisogna chiedersi però, a questo punto, cosa si intenda per europeismo: la definizione più calzante che abbiamo trovato è che consiste nella convinzione ideologica e politica della necessità storica di una maggiore integrazione tra popoli e Stati europei, fino alla costruzione di un Europa spiritualmente e politicamente unita.
Se questo è il postulato, non si può non notare che i gruppi in cui è diviso il Parlamento Europeo presentano tutti una propria visione di quanto e di come debba realizzarsi o meno questo processo di integrazione.
Abbiamo però visto, venendo all’Italia, come posizioni anche marcatamente euroscettiche sulla carta si siano più volte rivelate nei fatti piuttosto fluide.
Il movimento Cinque Stelle nella VIII legislatura dell’Europarlamento (2014 – 2019) faceva parte del gruppo parlamentare “Europa della Libertà e della Democrazia Diretta” il cui leader era quel Nigel Farage, a sua volta a capo dell’UKIP, talmente euroscettico da avere come scopo – poi realizzato – l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.
Una volta giunto al governo, tuttavia, il Movimento Cinque stelle ha poi molto ammorbidito la sua posizione, come a tutti è noto. Dopo essere uscito dal gruppo parlamentare di Farage, oggi si dichiara europeista.
Allo stesso modo, anche Fratelli d’Italia, posizionato nell’Europarlamento all’interno del gruppo dei Conservatori che vengono invece considerati moderatamente euroscettici, ha adottato un atteggiamento di inaspettata apertura all’Europa che ha sorpreso molti.
Ciò a dimostrare che non esiste per forza un’incompatibilità predefinita tra destra ed Unione Europea.
La stessa Forza Italia, il cui leader Tajani è stato presidente del Parlamento Europeo, fa parte del gruppo dei Popolari che è tradizionalmente europeista.
Certo, praticamente tutti i gruppi europarlamentari auspicano una profonda riforma dell’Unione la cui necessità è sotto gli occhi di tutti, ma ormai non c’è quasi più nessuno che pensi che si possa fare a meno dell’Europa, almeno per affrontare i macroproblemi che uno Stato da solo non ha più la possibilità di risolvere come pericoli di guerra, crisi economiche, pandemie o i cambiamenti climatici.
Porsi a livello antagonistico e preconcetto contro questa visione di Europa è non solo controproducente ma anche fuori dal contesto storico attuale e probabilmente non pagherà alle elezioni.
Perché quindi non passare da un’ottica meramente nazionale a una più vasta, lungimirante ed europea?
Nulla lo vieta.
Per quanto riguarda la sinistra, che fa da sempre e giustamente dell’europeismo un suo cavallo di battaglia, dovrebbe aprire una profonda riflessione sul fatto che un altro dei temi che da sempre la vedono particolarmente sensibile – l’immigrazione e il ricollocamento degli immigrati nei diversi stati dell’Unione – è una delle maggiori ragioni per cui molti Paesi membri remano contro una maggiore integrazione europea.
Abbiamo ben visto come molte nazioni sono di fatto sorde a qualsiasi proposta di ricollocamento e hanno ristabilito controlli alle frontiere e sospeso Schengen per tranquillizzare una larga fetta di opinione pubblica allarmata dalla moltitudine di questi arrivi.
Il recentissimo Patto della Migrazione appena approvato dal Parlamento Europeo non sembra essere risolutivo: il suo cosiddetto “meccanismo della solidarietà” prevede che gli Stati membri debbano accettare obbligatoriamente determinate quote di migranti o in alternativa pagare 20.000 euro per migrante allo Stato di accoglienza.
Molti hanno già detto che preferiscono pagare.
Per il premier ungherese Orbán «l’unità è morta, i confini sicuri non ci sono più, è un altro chiodo nella bara dell’Unione Europea», mentre il premier polacco Tusk del Ppe – peraltro già Presidente del Consiglio Europeo! – ha ribadito il «no» al meccanismo di solidarietà.
La realtà è che il fenomeno delle migrazioni incontrollate in Europa ha assunto una dimensione tale che vede contraria larga parte dell’elettorato non solo di destra ma anche moderato, e i governanti non possono non tenerne conto.
In altre parole, presentare questo fenomeno come ineluttabile o addirittura potenzialmente obbligatorio per i Paesi membri alimenta timori, provoca divisioni e favorisce i nazionalismi più radicali, che inevitabilmente cresceranno.
Questo è uno dei motivi per cui un’Europa più unita rischia di essere vista – o viene di fatto già ora percepita da molti – come foriera della perdita della propria sovranità e, soprattutto, della propria identità culturale e sociale.
In parole povere, l’Europa unita e le porte aperte all’immigrazione incontrollata possono apparire a una larga parte dell’opinione pubblica soprattutto moderata come due aspetti della stessa medaglia.
Se il nostro fine è un’Unione Europea più integrata, non sembra questa la strada da seguire.
Francesco Paolo Sgarlata
Editorial Director