by Francesco Paolo Sgarlata |
Da un po’ di tempo in Italia tira una nuova aria nei confronti dell’Europa. Dopo anni di euroscetticismo alimentato per lo più da alcune forze politiche di respiro nazionalista – e a volte non solo da quelle – ora l’atteggiamento generale pare magicamente cambiato.
Sotto l’egida di Draghi, illustre personalità dalla visione che va molto oltre gli angusti confini nazionali, quasi tutti i partiti italiani sembrano aver ritrovato una nuova sensibilità europeista. Cosa è successo? Semplicemente è arrivato il Covid, un flagello planetario che ha colpito tutti a livello sociale, sanitario ed economico, dimostrando che gli Stati da soli non possono affrontare problemi di tale portata e costringendoli di conseguenza a mettere da parte i propri egoismi per cercare soluzioni condivise.
Diciamolo chiaramente: abbiamo attraversato un periodo in cui non è stato facile essere europeisti. L’Unione Europea era vista e di fatto spesso si comportava come una realtà sovranazionale distante, attenta solo al rispetto di rigidi parametri economico-finanziari da parte degli Stati membri e pronta a bacchettarli in caso di sforamento.
Dov’era finita l’entusiasmante spinta ideale che aveva portato alla caduta dei confini interni, all’adozione della moneta unica e a un passo da un’effettiva integrazione europea?
La verità è che tutti questi traguardi erano stati prefissati quando ancora esisteva l’Unione Sovietica, uno “spauracchio” che aveva spinto gli Stati nazionali a tendere verso la realizzazione di un fronte comune più coeso e un’istituzione unitaria più incisiva.
Caduto il muro di Berlino e cambiato lo scenario internazionale, i traguardi sono stati quasi tutti ugualmente raggiunti sull’onda lunga dell’entusiasmo e delle decisioni prese prima che lo scenario stesso cambiasse.
Fino ai primi anni del nuovo millennio quasi tutti erano europeisti. Ma poi in pochi anni l’onda è andata esaurendosi perché è venuto a mancare l’impulso: gli Stati nazionali lentamente sono tornati a ripiegarsi sui propri orticelli e a dimenticare le ragioni che li avevano spinti a cercare una maggiore integrazione.
Appare ormai evidente che l’impulso unitario si attiva ogni volta che sorge la necessità di dover fronteggiare insieme un grave problema, comune a tutti gli Stati ma impossibile da risolvere singolarmente: senza questa necessità, diciamolo, non avremmo nessun bisogno di integrarci con gli altri Stati europei, se non per autentico idealismo.
Tre, quindi, appaiono i requisiti necessari: un grave problema, la comunanza del problema, l’impossibilità di risolverlo autonomamente.
Ma allora perché non ci ha unito, per esempio, un grave problema come l’epocale fenomeno dell’immigrazione? Semplicemente perché di fatto ha toccato – e tocca – da vicino soprattutto gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo. Gli altri ne sono stati investiti in seconda battuta, tanto che molti di loro si sono rifiutati di accogliere i migranti entrati dagli Stati di primo approdo.
Un grande problema, quindi, che si è rivelato divisivo in quanto non comune a tutti gli Stati membri. Mancava, in altre parole, uno dei tre requisiti fondamentali.
Che dire, poi, della crisi finanziaria del 2008? Anche in questo caso essa ha colpito in modo differenziato le diverse nazioni europee: alcune di queste hanno reagito meglio o avevano situazioni di partenza più solide e ne sono uscite prima, altre meno.
Il covid, invece, non ha fatto differenze e ci ha costretto a ritrovare tutti uno spirito e un approccio unitario.
L’Europa – che altro poi non è che la somma delle singole nazioni – ha finalmente dato un forte segnale, acquistando enormi quantitativi di titoli di stato, disponendo cospicui aiuti alle nazioni e mettendo a loro disposizione somme inimmaginabili solo poco tempo fa, che auspicabilmente permetteranno di risollevarle dalla terribile crisi sanitaria, sociale ed economica provocata dal virus.
Nessuna forza politica oggi può negare questo incontestabile fatto: senza l’Europa non saremmo mai in grado di uscire da questa terrificante situazione.
Che questo maledetto flagello sia sconfitto al più presto possibile e ci lasci almeno questa eredità positiva: una nuova coscienza europea, che ci porti a ricostituire un mondo più verde e più sano e a completare l’edificazione della nostra casa comune, rendendola migliore, più integrata, più forte, più sociale, più vicina, più viva.
Viva l’Europa.
Francesco Paolo Sgarlata – Editorial Director
Per il mio modesto parere, ho apprezzato e, condivido l’ analisi che è stata fatta. I momenti storici sono diversi e le esigenze negli anni sono cambiate. L’ Europa è si ora più unita ma il problema immigratorio credo sia rimasto. È come se ci fossero due diverse umanità. Ma voglio essere ottimista. Ci dobbiamo ” educare” ad un nuovo ascolto… Prima l’ orticello era da una Regione all’ altra, poi da una Nazione all’ altra e ora tra l’ Europa e altri Paesi…
Grazie Daniela per il tuo apprezzamento. Quanto agli orticelli, in un mondo in cui tutto è sempre più interconnesso, non ci si può più permettere di badare solo al nostro, perché prima o poi il problema dell’orticello vicino inevitabilmente in qualche modo toccherà anche noi.