by Francesco Paolo Sgarlata |
Settant’anni fa Robert Schuman presentava il piano di cooperazione economica ideato da Jean Monnet che segnò l’inizio del processo d’integrazione europea.
Gli orrori della seconda guerra mondiale, finita da appena cinque anni, erano negli occhi di tutti e rappresentavano una fortissima spinta per creare nuove convergenze tra gli Stati che impedissero devastanti conflitti.
Quello che andava creandosi era il primo nucleo di un’organizzazione puramente europea, e non mondiale come la vecchia Società delle Nazioni o l’Onu che la sostituì nel 1945.
“La fusione della produzione di carbone e di acciaio – così disse Schuman – assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea.”
Da allora sono stati compiuti straordinari passi avanti, rallentati solo dopo il collasso dell’Unione Sovietica che ha costituito lo spauracchio di tutto il dopoguerra con i suoi interventi armati e il suo pesante dominio su tutti i Paesi dell’est Europa.
I primi anni novanta hanno scandito infatti la fine della parabola sovietica e il punto di massimo impulso verso una maggiore integrazione europea.
Il Trattato di Maastricht del 1992 ha delegato nuovi poteri agli organismi europei fissando scadenze storiche per gli anni successivi come l’adozione della moneta unica nel 2002.
La Convenzione di Schengen, firmata nel 1990 ed entrata in vigore nel 1995, ha di fatto eliminato i confini interni tra gli Stati dandoci per la prima volta la straordinaria sensazione di essere veramente cittadini europei.
Insomma, dai primi anni novanta all’inizio del nuovo millennio ci è sembrato veramente che stesse succedendo qualcosa di incredibile: praticamente tutti si sentivano filoeuropei.
Ma tutto questo cammino era stato impostato prima, in una situazione politica globale completamente diversa.
Poi la spinta propulsiva è rallentata. I ricordi della seconda guerra mondiale si sono appannati, l’Unione Sovietica non esisteva più.
La sensazione è quella che i decisivi passi avanti l’Europa coincidano con eventi epocali che sensibilizzano l’opinione pubblica e smuovono i governi dei singoli Stati a trovare nuove convergenze e soluzioni condivise.
L’immigrazione di massa è stata – ed è – senza dubbio un evento di portata storica, ma che si è rivelato divisivo, in quanto ha portato gli Stati europei a reagire in ordine sparso e a enfatizzare differenze ed egoismi nazionali.
Anche il coronavirus è stato affrontato allo stesso modo, almeno per il lato della patologia.
C’è un altro lato, tuttavia, che non potrà essere fronteggiato nello stesso modo, ed è quello economico.
La grande recessione che il virus ha portato con sé ha tutti i presupposti per essere ben peggiore della storica della Crisi del 1929.
Le soluzioni condivise a livello europeo si presentano come ineludibili. Solo con l’Europa potremo venirne fuori: nessun altro potrà aiutarci.
In un mare in tempesta la salvezza è nella grande nave, non nella barchetta.
Sta ai nostri governanti trasformare un gigantesco problema in una straordinaria opportunità di sviluppo.
Senza dare colpe all’Europa, perché l’Europa sono loro che decidono, siamo tutti noi che li eleggiamo.
Viva l’Europa!
Francesco Paolo Sgarlata – Editorial Director