by Mauro Casarotto |
Con la strabordante vittoria nel Regno Unito dei Conservatori di Boris Johnson che hanno fatto della Brexit la loro bandiera programmatica, si avvicina la realizzazione del più grande trauma della storia dell’Unione Europea. La prima volta che un paese decide di lasciare l’Unione e non certo un paese qualunque dato il peso demografico, economico, strategico, storico e culturale del Regno Unito.
C’era stato, è vero, il precedente della Groenlandia che, tramite referendum, decise di lasciare l’Europa. Si trattava tuttavia di una nazione di poche decine di migliaia di abitanti e, ancorché strategicamente rilevante nell’epoca della Guerra Fredda, la Groenlandia era (ed è) pur sempre un territorio facente parte del Regno di Danimarca. Oltretutto questo avveniva nel 1982 quando l’Europa era ancora ‘Comunità Economica Europea’, prima del varo del Trattato di Maastricht e di quello di Lisbona. Altre circostanze, altra rilevanza e soprattutto altra epoca.
Tornando al 2019, c’è da domandarsi come si sia finiti nel bel mezzo di una crisi come quella di Brexit che è la crisi non soltanto del Regno Unito ma di tutto un continente e di un intero progetto politico.
Nei suoi ‘Quaderni del carcere’, Antonio Gramsci annota una frase divenuta celebre: ‘La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati’. Difficile trovare parole più calzanti per descrivere l’attuale situazione europea… e forse non solo europea!
Un fenomeno morboso che va consolidandosi in tutto il continente è quello dell’emergere di due opposte forme di conservatorismo che stanno minando il destino delle nuove generazioni europee. La prima forma di conservatorismo è quella dei cosiddetti ‘sovranisti’. Costoro vorrebbero retrocedere ad un assetto politico, sociale ed economico precedente, illudendosi di poter intercettare nuovamente un’epoca idilliaca ed eroica degli stati nazionali europei che (se mai effettivamente esistita!) è oggi antistorica, certamente non riproducibile nelle circostanze attuali. Enorme infatti il divario tra passato e presente generato dai mutamenti degli assetti strategici, economici, tecnologici e demografici negli ultimi due secoli, e comunque a partire dalla fine dell’ultima guerra mondiale.
Pensando a Brexit, per certi versi alcune nostalgie britanniche risultano umanamente comprensibili, se non altro come residui di un non troppo lontano e pertanto non ancora del tutto elaborato passato, soprattutto nel caso delle vecchie generazioni. Solo un secolo fa, infatti, l’Impero Britannico dominava sul 40% delle terre emerse e su un quarto della popolazione mondiale.
La nostalgia del passato imperiale non colpisce solo il Regno Unito ed altri paesi europei, magari in forme diverse, ne risultano ancora influenzati.
Nel Regno Unito, e non solo, quello sovranista è un conservatorismo di radice nostalgica.
Per capire quanto il dominio degli europei nel mondo sia oggi inattuale, è sufficiente ricordarsi questo banale dato: nel 1965 gli europei erano il 14 % della popolazione mondiale, oggi solo il 7 %. Gli europei! Figurarsi i soli inglesi, i soli francesi o i soli italiani! Che cosa conteranno i 60 o poco più milioni di italiani, francesi o inglesi entro pochi decenni quando saremo in dieci miliardi e in chissà quali condizioni ambientali ?
I sovranisti più aggressivi auspicano la dissoluzione dell’Unione Europea, o quanto meno l’uscita del loro paese dall’Unione. Quelli più moderati si accontenterebbero della marginalizzazione o dell’indebolimento del ruolo politico della UE e dello svincolo del loro paese dalle principali forme di cooperazione e accordi tra gli stati miranti ad una maggiore integrazione sociale, economica e finanziaria, in primis i parametri di Maastricht e l’Euro. Torniamo più divisi e meno interdipendenti, come una volta. Ognuno faccia da sé. Questo è il programma politico del sovranismo.
La seconda forma di conservatorismo è quella dei cosiddetti ‘europeisti’. A differenza dei sovranisti, gli europeisti sono persuasi del fatto che l’ognuno-faccia-da-sé sia un’agenda politica inattuale e suicida, date le sempre meno influenti dimensioni e peso degli stati e staterelli europei. Gli europeisti, perlopiù, percepiscono l’Unione Europea come un assetto incompiuto e ne chiedono pertanto la riforma, in diverse e scoordinate forme. Diverse e scoordinate dato che non esiste un singolo movimento, partito o organizzazione europeista che sia in grado di sinterizzare entro sé le varie posizioni e fare fronte comune.
L’europeismo è quindi, in questo simile al sovranismo, un sentire trasversale che afferisce a diverse parti della società, diversi partiti e movimenti.
Partiti e movimenti, quelli europeisti, che vorrebbero mantenere lo status quo dell’Unione Europea in maniera sostanzialmente acritica. Le richieste di ‘riforme’ da parte del fronte europeista, infatti, non intaccano mai la vera origine e causa dei gravi problemi strutturali che l’Unione Europea ha ampiamente dimostrato di avere in sé. Le riforme proposte, ammessa e non concessa la realizzabilità dato che occorre oggi mettere d’accordo 28 stati secondo le regole del sistema intergovernativo, impediscono di fatto all’Unione stessa di progredire, e forse anche di sopravvivere al nuovo millennio.
Questo secondo conservatorismo, quello europeista, ha una radice nella paura. Paura di perdere quella blanda unità europea finora acquisita. E allora pur di non perderla, l’Unione Europea, si è disposti ad accettare tutti i principali errori di sistema che sono stati inseriti nella sua costruzione e riportati nel Trattato di Lisbona che ne definisce l’attuale forma e funzionamento. Ma andiamo con ordine.
Cosa pensano i cittadini europei dell’Unione? I dati di Eurobarometro ci dicono che il consenso verso la UE è in generale crescita se è vero che, calcolando la media di tutti i 28 paesi, il 68% degli interpellati – perfino il 59% dei cittadini del Regno Unito! – dichiara di credere che il suo paese abbia avuto un beneficio dall’appartenenza all’Unione. Un caso emblematico è quello dell’Italia, paese fondatore e storicamente in prima linea nel processo di creazione dell’Unione Europea (gli italiani Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi sono ufficialmente considerati padri fondatori della UE). Nel 2009 l’ Eurobarometro dipingeva una situazione nella quale gli italiani si dicevano per il 69% persuasi che l’appartenenza alla UE fosse un vantaggio per il loro paese, contro il solo 42% della rilevazione di quest’anno. Un’emorragia netta di 27 punti percentuali di consenso in 10 anni! L’Italia da paese fondatore e propulsore dell’unità europea è divenuta fanalino di coda in termini di consenso e fucina, assieme al Regno Unito, al partito di Le Pen in Francia e ai blocchi che fanno riferimento al gruppo di Visegrad, delle più forti sacche di malcontento e risentimento nei confronti dell’Unione.
Tornando al Regno Unito, è bene ricordare come, nel referendum per l’adesione alla Comunità Europea del 1975, i sudditi di sua maestà votarono per il 67% in favore dell’Unione, con le percentuali favorevoli più basse in Scozia e in Irlanda del Nord. Nel referendum su Brexit il fronte del ‘Remain’ ebbe il 48% con le percentuali più alte proprio in Scozia e Irlanda del Nord, oltre ad alcune aree particolari come il centro di Londra e le città universitarie di Oxford e Cambridge. Una situazione radicalmente cambiata, in certi aspetti ribaltata.
Che cosa è successo in questi anni? Il consolidamento di un fronte politico sovranista con partiti e movimenti molto attivi nella propaganda e nell’antagonismo alla UE ha velocemente accentuato la polarizzazione attorno alla questione europea che è divenuta ogni giorno più centrale nel dibattito pubblico e ogni giorno meno scontata rispetto al passato, quando l’europeismo di massa era fondamentalmente dato per acquisito.
Il politico sovranista ha capito che può intercettare un importante filone di elettorato esacerbando questo antagonismo e facendo leva sull’insoddisfazione della gente. L’esempio più lampante è appunto Brexit con il progressivo spostamento del Partito Conservatore britannico dal campo del pro-Remain (l’ex premier Theresa May era notoriamente in favore della permanenza nella UE) al pro-Leave, a tal punto che Johnson è riuscito a sostituire May alla guida del partito e del governo, imponendo una polarizzazione ancora più aggressiva attorno all’intero dibattito sulla UE.
E’ fin troppo facile per i sovranisti elencare le inadeguatezze e i fallimenti dell’Unione Europea. Ed è un’illusione di parecchi europeisti quella di credere che la propaganda del sovranismo sia nutrita solo grazie alle fake news. Alcuni fallimenti sono incontestabili, come l’incapacità di gestire le crisi dei migranti in maniera coordinata e l’ assenza di una politica estera europea che possa influire sugli assetti e sulle crisi globali, la famosa questione dell’Europa ‘nano politico’.
Mutamento climatico, inquinamento, problemi di sovrappopolazione, ineguaglianze sociali ed economiche, conseguenti crisi migratorie, conflitti regionali, tra cui quelli vicinissimi in Medio-Oriente e Nord Africa… alzi la mano chi seriamente pensa che l’Unione Europea così come è oggi, dominata dagli interessi nazionali e dai ricatti e veti incrociati fra i singoli stati e staterelli e fra i singoli partiti e leader politici, possa essere protagonista della soluzione di queste soverchianti ed urgenti questioni!
Ora, e lo scrivo anche rivolgendomi a tanti amici europeisti, non è che l’Unione Europea sia in crisi, ferma al palo da decenni nella sua incapacità di adeguarsi e far fronte alle attuali sfide globali, semplicemente perché va attraversando una crisi di consenso in grandi paesi come l’Itala e il Regno Unito ma è anzi la crisi di consenso il campanello d’allarme, il sintomo che qualcosa non funziona, che è in atto un veloce scollamento con larghe fette di opinione pubblica.
Se l’opinione pubblica è passata dall’indifferenza all’ostilità, questo non è successo in una sola notte, ma è stato frutto di un processo generato dal vero errore di sistema che alimenta e continuerà sempre di più ad alimentare la perdita di fiducia e di consenso se non l’aperta ostilità nei confronti dell’unità europea. Questo errore di sistema è il metodo intergovernativo. Certo le fake news giocano un ruolo pesantissimo rispetto la situazione complessiva ma per gli europeisti il dare la colpa di questa crisi dell’idea di unità europea solo alla propaganda dei sovranisti rischia di rivelarsi un pessimo esercizio di analisi a forte carattere auto-consolatorio e auto-assolutorio, rispetto alle reali contraddizioni dell’Unione.
Nell’epoca d’oro dell’idea di Unione Europea sempre più stati erano stati attratti nell’Unione (6 paesi alla fondazione nel 1957, 9 nel 1973, 12 nel 1986, 15 nel 1995, fino agli attuali 28) con evidente accelerazione dalla dissoluzione dell’URSS che ha condotto molti paesi dell’Europa orientale a volgersi verso occidente. Si è così creata l’illusione che il processo di unità dei paesi del continente fosse solo una questione di tempo (prima o poi entreranno tutti!) e non di sistema (come deve essere architettata una unione continentale affinché sia stabile, efficiente e democratica?). Oggi deve risultare chiaro a tutti che il sistema – Unione Europea non è più funzionale e genererà sempre più contraddizioni e crisi fra gli stati contraenti, fino a una tutt’altro che improbabile dissoluzione.
Gli europeisti in genere reagiscono a questa situazione richiedendo più ‘sovranità europea’ ma, quando si tratta di declinare questo concetto, fanno il tragico errore di riferirsi alla sovranità europea come all’applicazione di più integrazione nell’area delle singole politiche: ovvero più integrazione nella politica della difesa, più integrazione nella politica agricola, nella politica estera, e così via. In pratica gli europeisti non chiedono l’evoluzione rispetto all’attuale matrice intergovernativa della UE, ma pensano (sperano?) che questa matrice intergovernativa, con l’introduzione di sempre più aree di collaborazione attorno alle singole specifiche politiche, si trasformi un bel giorno in qualcosa di diverso. Forse una repubblica europea intergovernativa generata da qualche riforma del Trattato di Lisbona? O forse uno stato federale?
Purtroppo il sistema intergovernativo non ha nulla a che spartire con gli standard degli autentici stati federali come la Svizzera o gli Stati Uniti d’America, nei quali una costituzione approvata dai cittadini o comunque dai loro rappresentanti garantisce la sovranità dei singoli stati membri, ponendo dei fermi limiti ai poteri del governo federale.
Il sistema intergovernativo è un tipico risultato dei trattati tra gli stati. Trattati che sono sempre negoziati dai capi di governo e dai quali gli stati possono, in qualunque momento, recedere, esattamente come sta facendo oggi il Regno Unito. Questo avviene perché la logica dei trattati intergovernativi è radicalmente diversa da quella di una costituzione che deve sempre valere erga omnes e che, sola, è in grado di produrre quel passaggio tra un sistema intergovernativo e uno federale, come è avvenuto negli USA nel 1789 e in Svizzera nel 1848.
Nel 2003, il goffo tentativo affidato ad una convenzione intergovernativa di dotare la UE di una Costituzione era già nato nel suo stesso nome, ‘ Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa ‘, sotto il segno dell’ossimoro. Un trattato infatti non potrà mai essere una costituzione (e viceversa) in quanto dalla costituzione non si recede – come si può invece fare con un trattato – se non varando una nuova costituzione o con l’accordo di tutte le parti, o in modo violento tramite conflitto, come è avvenuto negli USA durante il tentativo di Secessione degli stati del sud del 1861-65.
Come ama ripetere il mio amico Leo Klinkers, co-autore degli ‘ European Federalist Papers ‘ una donna o è gravida o non è gravida. Non si da in natura uno stato di semi-gravidanza. Allo stesso modo un documento o è una Costituzione o non lo è. E se non lo è, magari è solo un altro trattato intergovernativo che non risolve gli errori di sistema di cui soffre la UE.
Nel sistema intergovernativo della UE, riuniti all’interno del Consiglio, i capi di governo dei singoli stati fungono da decisori finali. Le decisioni sono prese in base ai rapporti di forza esistenti fra i singoli governi nazionali, spesso sotto la minaccia di ricatti e veti incrociati, in nome della sovranità di ciascuno stato. Sovranità degli stati, si badi, non dei cittadini!
Il Parlamento Europeo infatti rappresenta sì i cittadini dei singoli stati ma è sprovvisto del potere di iniziativa legislativa che è solo della Commissione. La Commissione a sua volta è composta da individui nominati, ancora una volta, dai governi nazionali, non sulla base dell’esperienza e della competenza dei singoli commissari (che dovrebbero essere l’equivalente dei ministri) ma secondo la logica della parcellizzazione e suddivisione delle deleghe tra tutti i 28 paesi; dove ovviamente i ruoli più importanti sono appannaggio degli stati più forti.
In breve, il Parlamento Europeo non può decidere se non con il consenso della Commissione e del Consiglio, ovvero dei governi nazionali.
Confrontino gli amici europeisti la differenza di poteri tra il Parlamento Europeo e il Congresso degli Stati Uniti d’America, e non potranno che rendersi conto di quanto l’Unione Europea sia distante da rappresentare un assetto federale e quanto i veri dominus restino i leader dei singoli governi nazionali che, come peraltro stabiliscono i trattati, non permettono né al Parlamento di fungere da vero legislatore né alla Commissione di fungere da governo federale.
Ecco perché quando i sovranisti, di fronte a qualsiasi problema irrisolto come ad esempio la crisi dei migranti, chiedono ‘ma l’Europa che fa’, creano una mistificazione. Non sono infatti le istituzioni europee, il Parlamento e la Commissione, a decidere (o meglio non decidere nel caso della crisi dei migranti!) ma sempre i singoli governi riuniti nel Consiglio. Quando questa domanda viene posta gli europeisti abboccano al gioco sovranista correndo velocemente a fornire l’immancabile elenco delle cose positive fatte dall’Unione Europea in quello o quell’altro campo e cercando di convincere la gente che la UE è la cosa migliore che abbiamo. E intanto, fra l’azione dei due conservatorismi, Brexit arriva e apre la strada ad altre possibili -exit.
Se siete arrivati alle ultime righe di questo articolo, vi invito a pensare al concetto di sovranità. Esso è usato come un grimaldello divisivo dai sovranisti,che parlano di sovranità degli stati e dei governi ed è mal compreso da molti europeisti, che vi oppongono il concetto di sovranità europea ma come estensione del metodo intergovernativo (e quindi dei suoi vizi, e ancora una volta di fatto alla sovranità degli stati – decisori del Consiglio) a un numero sempre maggiore di aree e ambiti. Dovremmo invece focalizzarci per prima cosa sulla sovranità dei cittadini.
La sovranità degli stati va invece confrontata, nello scenario globale, con la realtà del sistema economico (multinazionali, grandi corporations, centri d’interesse, etc.) e dell’apparato tecnologico (al quale si associano interconnessione e comunicazione globale) che rendono ogni giorno più impotenti i singoli stati, il cui poter d’azione è sopravanzato dall’efficacia e dalla velocità di poteri di fatto superiori e rispetto ai quali l’unico contenitivo efficace può essere quello di grandi assetti federali che, assestandosi su grandezze di scala nettamente superiori, creino una sufficiente capacità politica per affrontare le grandi questioni globali, in primis quella ambientale.
Prima che sia troppo tardi, i cittadini europei dovranno essere resi coscienti della vera opzione storica che hanno di fronte e sulla quale hanno la responsabilità di decidere anche per le future generazioni. Questa opzione storica non è certo quella tra il sovranismo e l’attuale Unione Europea intergovernativa (dualismo fra conservatorismi che è stato di fatto proposto nel caso di Brexit) ma quella tra il ritorno a sempre più piccoli, deboli e insignificanti staterelli europei e la creazione di un’ Europa federale basata su una vera e propria Costituzione. Solo quest’ultimo assetto è in grado di mantenere salve sia le peculiarità sociali ed economiche dei singoli stati, i cui cittadini non vogliono essere omologati o assimilati, che gli interessi comuni di tutti gli stati e di tutti i cittadini europei.
Come la vicenda Brexit ha ampiamente dimostrato, questo passaggio all’Europa federale sarà possibile solo se assecondato da un vasto consenso della base. Per fare questo è necessario presentare all’opinione pubblica, in maniera semplice, pulita ed ordinata la vera natura dei sistemi federali e spiegare una volta per tutte che per fare dell’Europa una federazione e cogliere tutti i vantaggi del metodo federale, occorre superare in maniera netta l’attuale assetto intergovernativo della UE. Quest’unico programma politico è in grado di smontare gli argomenti e la propaganda dei sovranisti. Gli europeisti sono pronti a intraprendere questa via ?
Mauro Casarotto