Divide et impera

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By Francesco Paolo Sgarlata |

“Divide et impera” è una famosa frase latina valida anche oggi per definire una strategia politica che punta a favorire le divisioni in un territorio evitando che entità minori, ciascuna titolare di una quantità di potere, possano unirsi, formando un solo centro di potere più forte e con degli obiettivi comuni.
Chi vuole evitare ciò, cerca di dividere e creare dissapori tra le singole entità, di rimarcare le diversità tra di loro e non i punti di unione in modo che queste ultime non trovino mai la possibilità di unirsi in modo stabile ed efficace.

Nel caso dell’Unione Europea, una strategia di questo tipo può essere promossa dal suo interno attraverso la politica di alcuni singoli Stati membri con governi rigidamente sovranisti, oppure da Stati storicamente contrari o tiepidi verso una maggiore integrazione europea, al mero scopo di mantenere il loro potere a livello locale.

La stessa strategia può essere promossa dall’esterno, cioè da Stati non europei che non hanno nessun interesse a che si crei una forte concentrazione di potere in Europa con la quale confrontarsi, ma al contrario a mantenere i singoli Stati membri divisi, meno potenti e quindi meglio controllabili.
Le scienze di politica internazionale ci insegnano che la divisione può essere alimentata non solo rendendo impossibili o più difficoltose le alleanze tra le parti, mettendo in dubbio il valore e il significato di un’eventuale unione più stretta, valorizzando i rapporti istituzionali e diplomatici con i singoli Stati e disconoscendo o sminuendo il peso di un’autorità centrale, ma anche concedendo aiuti o promuovendo accordi privilegiati con singoli Stati dell’Unione a scapito di altri.

In una qualunque contrattazione è meglio agire da una posizione di forza confrontandosi con tanti deboli interlocutori piuttosto che questi si uniscano e costituiscano un’entità comune e più forte.
Ciò è valido in qualsiasi campo: pensiamo all’esempio dei piccoli azionisti di una società che divisi contano ben poco nei confronti di un azionista di maggioranza anche relativa, ma uniti hanno un peso molto diverso. Lo stesso ragionamento vale, poi, anche dal punto di vista militare dove – come insegna von Clausewitz – è meglio avere a che fare con un nemico frammentato e non coeso piuttosto che con un avversario unito e organizzato.

Dovremmo pensarci bene, specie in un momento storico come quello attuale, con enormi sfide globali che ci attendono e con guerre che non si fanno più tanto con le armi ma attraverso l’economia e la finanza.

 

Francesco Paolo Sgarlata – Editorial Director

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