By Lucas Pinelli |
Conosciamo tutti l’Islanda per i suoi Vichinghi, i suoi vulcani o i suoi paesaggi favolosi, ma non tutti sanno che questo paese è in prima linea per quanto riguarda la parità di genere. Infatti, secondo il World Economic Forum, l’Islanda è numero uno nella classifica dei paesi con la maggior parità di genere [1].
Parità di retribuzione entro il 2022
Non è un caso che l’Islanda sia al primo posto di questa particolare classifica. Nell’ottobre del 1975, 30.000 donne (circa il 20% della popolazione dell’isola) hanno deciso di scioperare per combattere le iniquità sociali. Quello stesso giorno, gli uomini del piccolo Stato islandese si sono resi conto dell’importanza delle donne nella società. Tra le riforme intraprese a seguito dello storico sciopero (chiamato Women’s day off) troviamo la riforma del congedo parentale: tre mesi da prendere per la madre, tre mesi per il padre, e altri tre mesi da dividersi tra i due genitori [2].
Le donne islandesi continuano però a percepire in media il 18% in meno del salario degli uomini – contro il 5,5% in Italia per esempio, eppure l’Italia è classificata 82esima nella classifica prima citata [3]. È proprio questa disparità che ha portato le donne a tornare in piazza il 24 ottobre 2016, giorno dell’anniversario del Women’s day off, alle 14:38 precise [4], l’esatto momento del giorno a partire dal quale le donne non vengono più pagate rispetto agli uomini [5]. Un’altra manifestazione femminile è stata organizzata l’8 marzo 2017, giornata internazionale per i diritti delle donne, non solo in Islanda ma anche in altri paesi del mondo per chiedere la parità di retribuzione [6].
Il governo islandese non è rimasto muto davanti a queste manifestazioni. Lo stesso 8 marzo, in una conferenza stampa a New York, il primo ministro islandese Bjarni Benediktsson ha affermato che tutte le aziende con più di 25 persone dovranno consegnare un certificato che accerti la parità di retribuzione tra uomini e donne [7]. Questa nuova legge, in vigore da gennaio 2018 [8], dovrebbe permettere di abolire il divario salariale entro il 2022 [9].
“Le donne devono essere pagate meno, non sanno giocare a scacchi”
Mentre in Islanda la causa femminista è all’avanguardia, in Europa sembra risorgere una visione patriarcale della società. Il primo marzo 2017, infatti, un eurodeputato polacco ha sostenuto, non senza ricevere vive critiche, che le donne debbano guadagnare meno perché più deboli, più piccole, ed anche meno intelligenti [10], basando le sue parole sulla classifica dei 100 migliori giocatori di scacchi – nella quale non ci sarebbero donne.
Ovviamente, questo personaggio non rappresenta la visione della maggioranza dei deputati e dei cittadini europei, ma che si possa ancora pensare in questo modo nel 2017 è agghiacciante in quanto veicola stereotipi di un altro secolo. Le contromisure non si sono fatte attendere: l’eurodeputato è stato infatti sanzionato dal presidente del parlamento Antonio Tajani ad un mese senza indennità giornaliera, per un totale di circa 10.000 euro [11].
Inoltre, nei programmi scolastici promossi da Orban in Ungheria si scopre che “i ragazzi e le ragazze non hanno le stesse capacità fisiche e intellettuali”, oppure che “le donne sono buone per la cucina, il loro ruolo è di fare bambini e occuparsi della casa” [12].
In Belgio infine, un partito, per fortuna marginale, chiamato Islam ha riaffermato l’impossibilità di presentare donne come capolista in vista delle elezioni locali di ottobre 2018 e proponeva nel suo programma spazi separati per uomini e donne nei trasporti pubblici [13].
Eppure, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea prevede che l’Unione debba promuovere la parità tra uomini e donne [Articolo 8 TFUE] e che gli Stati membri debbano assicurare la parità di retribuzione [Articolo 157 TFUE], come era peraltro già previsto all’articolo 119 del Trattato di Roma nel 1957.
In conclusione, anche se l’indice di uguaglianza di genere pubblicato il 10 ottobre 2017 dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere nell’Unione (EIGE) mostra un lieve progresso in Europa per il periodo 2005-2015 [14], il cammino per arrivare alla parità di genere è ancora lungo. Soprattutto se si pensa che il divario salariale nell’Unione è del 16,3%, andando dal 5,5% dell’Italia al 26,9% dell’Estonia [15].
Lucas Pinelli